
Qualche settimana fa’ abbiamo scoperto che in un cinema di Lugano proiettavano un film boliviano, Utama. Ultimamente ne parlano tutti, e non solo in quella zona del mondo, perché ha vinto il gran premio della giuria al Sundance, uno dei principali festival di cinema alternativo.
Siccome la proiezione era inserita all’interno di un programma chiamato Festival dei diritti umani, ci sembrava ancora più interessante la possibilità che contestualmente alla proiezione venissero approfondite alcune tematiche che vengono presentate dalla pellicola.
Il regista Alejando Loyza , costruisce una storia in cui la protagonista principale è la natura. Virginio e Sisa sono una coppia che vive sull’altipiano boliviano a 3500 metri sul livello del mare. Il loro stile di vita è essenziale e corredato di silenzi. Il lavoro è duro e la terra è arida. Pascolare i lama e recarsi al villaggio più vicino per rifornirsi di acqua sono le uniche attività su cui si regge l’intreccio narrativo. Ne risulta una temporalità dilatata da cui emergono figure che eroicamente resistono al richiamo della comodità, rappresentato dal nipote della coppia, Clever, che viene mandato dal padre per cercare di convincere i nonni ad abbandonare il loro desolato rifugio.
È un film che ha un livello di profondità non comune e può essere analizzato e interpretato in tanti modi a seconda del punto di vista che si adotta.
Si parla della cultura quechua e andina; della malattia e della morte che segue Virginio per tutta la durata del film e che viene rappresentata da una formidabile sequenza dove appare un maestoso condor; dell’asprezza della natura che ripete i suoi cicli da millenni e che invariabilmente mette a dura prova gli uomini che vivono in quelle terre dimenticate; il confronto tra generazioni che ci lascia un passaggio traumatico e laceranti difficoltà comunicative.
Insomma il film ci è piaciuto davvero tanto anche perché si smarca dalla produzione in serie che appiattisce molti contenuti inseriti in piattaforme come Netflix. Eppure, anche in un contesto diverso da una piattaforma online, come è un cinema, gli organizzatori sono riusciti ad appiattire il nostro entusiasmo. Ecco quindi che asciugate le lacrime, i titoli di coda si spengono e sul palco del cinema Corso appaiono dei signori che, crediamo noi, approfondiranno qualche aspetto che viene toccato da Utama.
Magari ci chiariranno qualche aspetto dell’etnia quechua che è una delle tante che compongono lo stato plurinazionale boliviano. Mica per nulla si chiama Festival dei diritti umani. Giusto?
-Sbagliato.
Quello a cui siamo costretti ad assistere per qualche minuto, prima di scappare annoiati e anche un po’ incazzati, è uno sterile dibattito sul cambiamento climatico.
Ora, appurato che il regista forse ne parla in qualche intervista per ragione di marketing strategico, che tra l’altro ha funzionato, perché il film è stato distribuito in diversi paesi, al di là di questo, dicevo, ma cosa c’entra il cambiamento climatico con un film tanto bello quanto complesso come Utama?
Nulla però rende evidente un fenomeno linguistico manipolatorio che viene utilizzato spesso e che in PNL viene chiamato nominalizzazione.
Per nominalizzazione si intende l’operazione attraverso la quale un predicato verbale, che si riferisce sempre a un processo in atto, viene trasformato in un aggettivo o in un nome.
Quindi, il fatto che Virginio e Sisa affrontino le difficoltà derivate dal fatto il clima cambia e non è prevedibile, così come è sempre successo e sempre sarà soprattutto in quelle terre dimenticate, viene trasformato nel cambiamento climatico, con tutte le connotazioni politiche e gli interessi di settore che sappiamo essere collegati a questa parola. E voilà, con un semplice artificio linguistico, tutta la complessità di un’opera d’arte viene spazzata via per essere sostituita da una vuota e prolissa retorica che risucchia l’attenzione e appiattisce il dibattito.
La morale di tutto questo è: drizzate le orecchie ogni volta che qualcuno vi vuole convincere che un processo dinamico è un oggetto statico e impersonale. Sapete perché? Quando nominalizzate vi convincete, attraverso inconsci processi psichici, che quella cosa non possa essere modificata e che abbia una sua natura propria che è più potente che voi. Non è così: come ci insegnano Virginio e Sisa di fronte al clima che cambia si possono fare tante cose: resistere, sviluppare nuove abilità, rendersi conto della propria impermanenza, accettare la morte. Di fronte al cambiamento climatico si può solo fare una cosa: smettere di parlare delle differenze e pensare a un problema la cui esistenza fa comodo a molti.
Riccardo Cantone
Trainer PNL e Dottore in comunicazione multimediale di massa.