Oltre la crescita personale, le tre componenti dell’uomo integro

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Lo scopo di questo articolo è offriti alcune chiavi per avere una visione d’insieme di quella che viene comunemente definita “crescita personale” in modo che tu possa avere maggiori elementi per capire che cosa ti può essere utile in questo momento.

Ognuno di noi è attore, regista e spettatore della propria vita.

Se ci consideriamo dal punto di vista degli attori l’ambiente è il nostro scenario e gli eventi che ci accadono la sceneggiatura. Gran parte di quello che ci succede non è sotto il nostro controllo perché appunto è stato scritto senza chiedere il nostro permesso. Esistono una grande mole di teorie, la maggior parte delle quali ruota attorno il concetto di legge dell’attrazione, che sostengono che sia possibile influenzare la sceneggiatura o addirittura riscriverla a proprio piacere influenzando il corso degli eventi. Sta di fatto che se vogliamo migliorare le nostre capacità attoriali, lasceremo per un attimo perdere la sceneggiatura e le decisioni del regista e ci limiteremo a pensare a come recitare nel migliore dei modi.

Chiaramente l’attore lavora attraverso la propria capacità di dominare e usare corpo e emozioni. Più è in grado di farlo più è in grado di suscitare una determinata impressione al proprio interlocutore. Questo è il regno della personalità (persona è una parola greca che significa appunto maschera). La psicologia e tutte le sue declinazioni si occupano delle nevrosi e delle psicosi, ovvero di tutti quei casi in cui la personalità non è riuscita a “impersonare” il ruolo che le è stato attribuito dalla sceneggiatura. In questo caso si tratta di patologie. Il counseling invece è una relazione d’aiuto che ha lo scopo di rafforzare la personalità. Il cliente del Counselor è un attore che ha perso l’ispirazione, che non riesce ad esprimersi come vorrebbe forse perché sente di non comprendere del tutto il posto che gli è stato assegnato dalla storia. Il Counselor può usare tantissimi strumenti, alcuni prossimi alla psicoterapia come l’Analisi Transazionale e la PNL (acronimo di Programmazione Neuro Linguistica). Quest’ultima in particolare si concentra sul miglioramento delle performance e sull’empowerment, quindi è molto consigliata a chi vuole ottenere migliori risultati sul lavoro o nelle relazioni, due degli scenari più importanti per determinare il ruolo dell’attore. Al livello della personalità l’importante è infatti impersonare un vincente piuttosto che un fallito.

Sta di fatto che se vogliamo avere la libertà di cambiare ruolo deve succedere una cosa che non è scontata e che molto spesso non è calcolata: rendersi conto di essere degli attori di una sceneggiatura che non è stata scritta da noi. Tutti noi infatti partiamo dalla convinzione che siamo già liberi di essere qualsiasi cosa vogliamo essere. Le pubblicità delle auto fomentano questa idea e noi ammicchiamo compiacenti. Per realizzare che non è così è necessaria una crisi o una rivelazione. Un po’ succede come nel celebre film The Truman Show : il protagonista, interpretato da Jim Carrey, scopre progressivamente di essere l’inconsapevole personaggio principale di un programma televisivo. La scoperta è dolorosa ma lo costringe a uscire dalla sceneggiatura. Per chi fa questa scoperta nella realtà questa presa di consapevolezza non corrisponde però a un’interruzione della pellicola. Tutto continua come se niente fosse successo.

A questo punto si può scegliere: o ci si forza a dimenticare (d’altronde la rimozione ci viene piuttosto facile) e si torna alla vita dell’attore inconsapevole oppure si diventa regista di sé stessi. Decidere per la seconda possibilità non significa che si riesca nell’impresa dall’oggi al domani. Tuttavia comporta uno sforzo costante e ripetuto nel tempo: quello dell’immaginazione creativa. Il regista immagina uno scenario differente per il proprio personaggio principale e soprattutto riesce a guidarlo e a orientarlo verso la direzione da lui desiderata. La sceneggiatura esterna vuole una cosa, il regista ne vuole un’altra. Da questa competizione sorge un attrito creativo che permette al regista di entrare in contatto con la stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e di manipolarla a suo piacimento. Il regista è responsabile della creazione dell’anima individuale. Tutti gli attori hanno in germe questa possibilità ma solo alcuni la animano. Animare significa infatti dare vita a delle varianti della realtà che la sceneggiatura esterna non prevede per noi. Come già sapete esiste una moltitudine di vie che parlano della costruzione dell’anima o della sua riscoperta a seconda della prospettiva che si decide di adottare. L’anima si nutre infatti di attenzione e intenzione. Nel primo caso si parla di essere presenti alla propria controfigura attoriale mentre è alle prese con le circostanze che le sono imposte dalla sceneggiatura esterna. In questo filone possiamo collocare la Quarta via di Gurdjieff, mistico armeno che tra le altre cose ha dedicato la sua vita alla diffusione della pratica del ricordo di sé e che ha dato una delle migliori definizioni di regista che io conosca: l’uomo astuto. Da qui potremmo partire con una serie di collegamenti che vanno dal misticismo orientale all’alchimia passando dallo gnosticismo cristiano o quello che fu definito da lui stesso cristianesimo esoterico. Tra l’altro è proprio nutrendo la presenza che si può avere una comprensione più profonda delle maschere. Grazie all’Enneagramma , simbolo e sistema di conoscenze diffuso in Occidente proprio da Gurdjieff, è possibile lavorare contemporaneamente su anima (essenza secondo il linguaggio gurdjieffiano) e personalità: il regista aiuta l’attore a esplorare le potenzialità di nove maschere archetipiche per potere interagire in maniera intelligente con la sceneggiatura esterna. Parlando invece di intenzione dell’anima, trovo che Vadim Zeland con il suo Transurfing abbia fatto un prezioso lavoro di sintesi dando validi e precisi suggerimenti sugli strumenti che il regista ha a disposizione per surfare lo spazio delle varianti.

Nel processo di creazione di sé si impara quindi a comprendere la propria personalità, ad arricchirla e possibilmente a contaminarla con le vibrazioni più sottili dell’anima. Se attore e regista sono pur sempre dentro il film, in che senso allora siamo spettatori della nostra vita? Il regista in realtà è già un po’ fuori rispetto all’attore. È distaccato e disidentificato dai vari ruoli che l’attore di volta in volta si trova ad assumere. Sono proprio queste caratteristiche ad accomunarlo allo spettatore. Nel guidare l’attore ha infatti appreso la sottile arte dell’osservazione. L’ha praticata a piccole dosi fino a farla diventare una proprietà del proprio essere. In questo processo ha fatto un’altra scoperta straordinaria: la sceneggiatura che dirige la sua vita non è qualcosa di esterno né di interno ma piuttosto di esterno e interno allo stesso tempo. Che si trovi dentro il punto di vista dell’attore, del regista o dello spettatore poco importa perché può essere tutti e tre. Ci troviamo a parlare di uno stato di coscienza poco descrivibile dalle parole e non afferrabile dal pensiero logico e analitico. Eppure esistono anche in questo caso svariate discipline, vie quando non sistemi strutturati come le religioni che ne parlano. Il regno dello spirito non ha padroni e non è afferrabile dall’apparato percettivo e sensoriale dell’umano. Per forza di cose quando ne parliamo utilizziamo simboli, metafore e paradossi oppure ci affidiamo alle forme della Geometria Sacra che sono forse più adatte a trasmetterci la vera natura dell’Impersonale. La storia ci ha consegnato personaggi come Buddha, Gesù Cristo e Osho, come simboli viventi e incarnazioni dell’Impersonale. I loro insegnamenti però portano tutti alla stessa conclusione: non è possibile delegare a nessuno questo processo di crescita “personale”. E’ un viaggio individuale e molto probabilmente la ragione profonda per cui la vita vale la pena di essere vissuta. Forse il Regno dei Cieli ci potrà ancora sembrare lontano tuttavia il nostro sistema attore-regista-spettatore può trovare delle perle di inestimabile valore in testi come il Vijñāna-bhairava-tantra che indica ben 112 modi per assaporare il nettare dell’Impersonale.

Per concludere quando parliamo di crescita personale possiamo davvero intendere tante cose e una molto diversa dall’altra. Possiamo avere intuizioni da “regista” o assumere punti di vista tipici dello “spettatore” anche quando siamo ancora alle prese con le beghe dell’”attore”. Non è un processo lineare e i tre stati tendono a mescolarsi. Ecco perché il Counseling può risvegliare stati di coscienza in cui si avverte una sensazione di maggiore lucidità tipica del “regista” oppure sperimentare tecniche tantriche può migliorare le performance dell’attore aiutandolo a trovare un lavoro più appagante e remunerativo. Proprio perché i tre stati sono interdipendenti è buona pratica prevedere le reazioni che uno può suscitare sull’altro e apportare dei cambiamenti adeguati. Per esempio la pratica dell’osservazione (regista) mi porterà a vedere tante cose spiacevoli sulla mia personalità (attore) che potranno mettermi in seria difficoltà se non lavoro sulla mia abilità di disidentificazione (spettatore).

Per tutto quello detto finora parlare ancora di crescita personale è sicuramente riduttivo perché non è possibile crescere sempre e soprattutto la personalità non cresce ma si armonizza. Chiunque voglia intraprendere questo meraviglioso viaggio è avvisato: pensiero positivo e corsi intensivi di illuminazione non bastano. Come diceva il buon vecchio Friedrich Wilhelm Nietzsche: “Vivi pericolosamente”.

Riccardo Cantone

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